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Arnaldo Sassi
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Riceviamo e pubblichiamo
- Ma non eravamo diventati tutti garantisti?
La domanda è tutt’altro che pleonastica, perché ciò che sta avvenendo in questi giorni nei confronti del sindaco di Montalto Salvatore Carai, non può non indurre a tutta una serie di considerazioni sulle quali forse sarà giusto riflettere a mente fredda, senza farsi troppo trasportare dagli umori.
Cominciamo dunque a mettere qualche punto fermo: decidendo di aiutare economicamente le famiglie degli otto ragazzi accusati di stupro nei confronti di una minorenne per pagare le spese legali, Carai l’errore lo ha commesso. E grosso.
Un errore di opportunità, legato soprattutto al tipo di reato perpetrato, giustamente identificato dall’opinione pubblica come uno dei più beceri e inqualificabili, perché profondamente offensivo della dignità della donna e della persona in genere.
L’errore sta anche nell’aver destinato quella somma (che, si badi bene, dovrà essere restituita a rate) proprio a pagare gli avvocati difensori, giacché se fosse stata elargita per un altro scopo - o se il sindaco si fosse limitato a trovare lavoro agli otto bulli forse lo scandalo non sarebbe scoppiato.
Di fronte a tutto ciò, era logico quindi aspettarsi reazioni più o meno forti per un gesto fortemente discutibile e fortemente inopportuno, il quale andava a inserirsi in una vicenda che aveva profondamente scosso l’opinione pubblica locale, e non solo.
Ma la violenza verbale più che la quantità di alcune prese di posizione e soprattutto la condanna immediata dell’uomo e dell’amministratore, senza alcuna possibilità di difesa e di appello da parte sua, non possono non lasciare quanto meno interdetti tutti coloro che ugualmente sensibili di fronte a fatti turpi come lo stupro di gruppo ritengono tuttavia che, prima di esprimere giudizi definitivi, sarebbe sempre bene ascoltare e capire a fondo le ragioni di un gesto e avere sempre quell’atteggiamento garantista che oggi sembra essere diventato un valore irrinunciabile nella società in cui viviamo.
Tutto questo, nei confronti di Salvatore Carai, non è avvenuto. L’uomo è stato messo alla gogna e condannato senza alcun processo. E’ mancata solo la fucilazione seduta stante. E, soprattutto in questo territorio, la vicenda stride fortemente con altre storie anche queste riguardanti pubblici amministratori di fronte alle quali l’atteggiamento è stato profondamente diverso.
Due esempi: a Montefiascone un sindaco viene messo agli arresti domiciliari per due mesi perché accusato di corruzione. Reato tutto da dimostrare d’accordo, ma quando riottiene la libertà viene identificato dalla gente addirittura come un eroe. E nessuno (o pochissimi) parla di dimissioni.
A Viterbo un assessore confeziona un appalto di gara per le mense scolastiche in spregio alle regole amministrative vigenti, provocando una serie di danni inenarrabili alla comunità, eppure sta ancora al suo posto e viene difeso strenuamente dal suo schieramento politico, che parla addirittura di persecuzione da parte di coloro che forse con qualche ragione ne hanno chiesto l’avvicendamento.
Perché dunque, due pesi e due misure?
La riposta è più semplice di quanto si possa immaginare: perché quel tipo di reato ossia lo stupro provoca reazioni più vibranti e maggiore sdegno rispetto ad altri. E se tutto ciò è umanamente giustificabile, lo diventa un po’ meno quando ci si deve attenere a principi consolidati che devono valere per tutti.
Domanda: è una bestemmia affermare che il principio d’innocenza va applicato anche agli otto ragazzi accusati di stupro finché la sentenza non sarà stata emessa?
Se la risposta è no, allora per favore - ribadito che l’errore c’è stato - salviamo il soldato Ryan, salviamo il sindaco Carai.
O quanto meno, prima di gettarlo in pasto alle belve, ascoltiamo almeno le sue ragioni.
Arnaldo Sassi
Caporedattore del Messaggero