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Marcello Meroi
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- Non erano ancora entrate in vigore le misure contenute nelle ordinanze che il sindaco Giulio Marini ha emesso recentemente, che già una serie di commenti e prese di posizione ne avevano lamentato l’aspetto liberticida.
Credo che per svincolarla da interpretazioni ideologizzate che certo non contribuiscono a un’analisi reale, la discussione debba essere posta in modo corretto.
Partiamo da una prima considerazione del tutto oggettiva.
Se da mesi, in tutta Italia, sindaci di Comuni medi e piccoli e di diversa estrazione politica, ma anche primi cittadini di grandi aree metropolitane che rispondono sì ai nomi di Gianni Alemanno e Fulvio Tosi, ma anche a quelli di Massimo Cacciari, Sergio Cofferati, Leonardo Dominici e Sergio Chiamparino hanno ritenuto di dover emanare analoghi provvedimenti, qualcuno dovrebbe chiedersene le ragioni.
Conseguentemente potrebbe comprendere i motivi per i quali larghissima parte dei cittadini vuole dire basta a un degrado che purtroppo ha colpito da tempo le nostre città.
Seconda riflessione: relativamente alle misure adottate dal sindaco Marini si è parlato di atti volti a incentivare la “sicurezza”.
Sarebbe più corretto parlare invece di strumenti preventivi e certo anche sanzionatori, da modulare, perfezionare e doverosamente applicare, interpretandoli con buon senso e intelligenza, per richiamare a maggiore educazione e rispetto verso gli altri i comportamenti propri di una comunità civile.
Alcuni “spiriti liberi” hanno tirato fuori da polverosi cassetti il vecchio slogan “vietato vietare” e gridato alla ”restrizione delle libertà individuali”.
Non riesco a comprendere cosa abbiano in realtà in comune i sacri princìpi costituzionali con le bottiglie vuote lasciate ovunque per le strade, oppure distrutte nei giardini da alcuni giovanissimi per mero vandalismo (ho purtroppo avuto modo di esserne testimone diretto), con gli schiamazzi notturni, con le scritte sui muri, con il non rispetto delle regole di normale convivenza.
E perché chi si scaglia contro una parte di tali provvedimenti, interpretandoli come un attacco ai più deboli che si guadagnano la giornata lavando il vetro per una moneta, non si chiede cosa ci sia dietro a esempio quei tanti minorenni che troviamo a ogni semaforo o che si spingono sino all’accattonaggio, se non spesso organizzazioni che sfruttano in maniera illegale e violenta tanti disperati?
Perché non voler accettare che la gente sia stanca di maleducazione, incuria, degrado?
Che il rispetto delle regole, che qualcuno ritiene invece superati formalismi da ripudiare, è principio di una collettività?
Certo ha ragione chi sostiene che con queste ordinanze non si risolvano i problemi collegati alla sicurezza vera e propria e agli episodi di violenza che si sono pericolosamente manifestati in città.
Ma nessuno questo pretende, data l’ampiezza e la profondità del problema che necessita di una valutazione profonda e di grande responsabilità.
La violenza, soprattutto tra i giovani, va combattuta con il richiamo alla partecipazione, con iniziative di socializzazione, con proposte di sviluppo dei Territori che debbono provenire soprattutto dalle istituzioni che su questi temi sono certamente carenti nell’attuare politiche sociali adeguate, spesso per insufficienza delle necessarie risorse.
Si deve recuperare il tempo perduto prima che possano affacciarsi pericolosi fenomeni.
Ma il confondere le misure attuate dai sindaci con altre e ben più complesse questioni, “insaporendo” poi il tutto con la volontà di privare i Viterbesi di cornetti e pizzette notturne pare, oltre che profondamente scorretto (ancor di più se sostenuto da quelli che amano definirsi organi di informazione), soprattutto offensivo per la verità.
Marcello Meroi
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