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Marcello Meroi
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- Non so se Veltroni sia più contento della vittoria di Obama alle presidenziali Usa o se gli bruci maggiormente il fatto di essere a capo di uno dei pochi Partiti democratici che, pur avendo utilizzato a piene mani l’immagine del neo capo della Casa Bianca, abbia subito cocenti sconfitte elettorali.
Yes we can, dicevamo.
E Barack Obama ce l’ha fatta. Ha battuto senza possibilità di appello il candidato repubblicano facendo soprattutto leva sulla novità, sulla necessità per gli Stati Uniti di scrollarsi di dosso l’immagine da giustiziere del mondo, il continuo richiamo alla sicurezza ed all’ordine internazionale, la lotta al terrorismo, l’intervento armato.
Obama ha saputo interpretare al meglio il bisogno di un’America che vuole essere diversa da come è oggi, che ha voglia di tornare ad essere leader economico più che militare, che pensa ad un futuro per i propri ragazzi diverso da quello delle prime linee dei fronti di mezzo mondo.
John Mc Cain incarnava l’eroe di guerra, il prigioniero americano, la grande frontiera. Ma Obama ha vinto proprio perché non era tutto questo.
Ora l’intero pianeta lo attende nelle decisioni più importanti e difficili: quella sull’Iraq, sull’Iran, sui rapporti con Putin, sulle scelte valoriali.
Credo che il neo presidente possa fare molto bene.
Intanto perché pare intenzionato a formare un’ottima squadra che veda al suo interno i migliori esperti nazionali nelle materie di governo, scegliendoli in base alle loro effettive capacità e non alla sola appartenenza al partito vincente.
Una bella e seria lezione ai tanti politici che preferiscono la tessera alla qualità, la subordinazione alla preparazione e che teorizzano comunque lo spoyl sistem anche quando si rivela strumento di bassissimo profilo più volto all’occupazione strategica che all’efficienza.
Poi Obama ha alle spalle un partito che si è rafforzato in occasione delle elezioni e che è estremamente coeso.
Molti democratici di casa nostra dimenticano infatti che in America non c’è posto per formazioni comuniste o di estrema sinistra.
I democratici Usa sono infatti progressisti nel senso più ampio del termine, ma soprattutto nazionalisti (come tutti gli americani), profondamente legati alle loro tradizioni, liberali e non giustizialisti, permeati da un senso dello Stato di diritto estremamente forte.
In poche parole negli Stati Uniti Diliberto e Di Pietro, Caruso e Luxuria non farebbero né i ministri né i parlamentari, perché non avrebbero alcuno spazio nella politica nazionale.
Obama è oggi la speranza di milioni di persone che credono di poter far tornare grande gli Usa, che pensano ad una politica di difesa dei mercati, della produzione e della crescita interna.
Il compito di questo giovane leader sarà difficilissimo e di grande impegno. Chi è ritenuto a torto od a ragione l’uomo più potente del mondo ha compiti immani, ma la simpatia trasversale che ha saputo riscuotere è già un segnale positivo per un politico tutto sommato nuovo.
Anche in Italia circoli e personaggi di centro destra hanno espresso giudizi molto positivi su chi fra tre mesi guiderà le sorti degli Stati Uniti attribuendogli qualità politiche di grande spessore e la proposizione di un programma condivisibile.
A Viterbo noti esponenti della PdL hanno festeggiato la sua elezioni insieme a protagonisti di sinistra della vita amministrativa, uniti da brindisi e magliette “griffate” Barack.
Merita attenzione, rispetto e soprattutto serietà.
Nel nostro Paese è stato al centro dell’attenzione soprattutto per la sua… abbronzatura.
La battuta certamente non è stata felicissima, anche se del tutto ingenua. Ma la polemica che ne è seguita è stata ancora peggiore.
Come al solito non abbiamo fatto, da entrambe le parti, una bella figura.
Vediamo di recuperare in fretta.
Marcello Meroi
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