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Severo Bruno
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- Contro il volere di molti, contro vari tentativi di disinformazione e sofisticati distinguo, si è svolto venerdì scorso lo sciopero generale indetto dalla Cgil, con grande partecipazione di popolo e di lavoratori. E questa è la prima notizia.
La seconda, e non è una novità, è la sottovalutazione che i media, in particolare la televisione, hanno usato nel commentare l’avvenimento, ripetendo le parole di rappresentanti del governo.
Eppure vi sono elementi di novità interessanti, quale l’incontro e l’unione in alcune città con i cortei studenteschi, già lontani dalla politica e da manifestazioni di protesta.
Lo sciopero generale contro la politica economica del governo, anzi contro l’assenza di una sua politica economica diversa dai pannicelli caldi, deve aver provocato anche i giovani che si sono mossi per difendere il loro futuro, la scuola e il lavoro sicuro.
Altra novità è il tono delle manifestazioni, quasi tutte improntate al dialogo e segnate dalla consapevolezza della gravità del momento.
Lo stesso Epifani si è limitato a chiedere al governo: “Occupati del paese, perché se la crisi non sarà affrontata seriamente potrà devastare le famiglie e il paese”.
Ma occuparsi del paese non è il compito del governo? Di chi altro dovrebbe occuparsi altrimenti, delle sceneggiate tra governanti?
Ma a questo siamo arrivati, inutile meravigliarsi.
A vedere il corteo della Cgil a Viterbo, sotto l’acqua, in un mare di ombrelli, fermo a piazza del Comune, con gli oratori a parlare e i manifestanti a partecipare, mi sono vergognato di essere stato trattenuto dai miei impegni “gravi”.
Che ci può essere di più grave che difendere il proprio lavoro, e la cassa integrazione, e combattere contro una politica sbagliata che rende il mutuo non raggiungibile e mette a rischio la propria casa?
Quell’impegno speso a manifestare, in realtà esprime la volontà di cambiare, di intervenire nella situazione nera che viviamo per poterla cambiare, di ritrovarsi in tanti per ritrovare la speranza di contare e di farsi sentire.
Quella speranza spesso viene meno, con la sfiducia che si insinua, con la sensazione che forse lo sciopero e le manifestazioni sono ormai strumenti non più sufficienti a cambiare le cose, a battere l’avversario, colui che fa il bello e cattivo tempo nell'editoria stampata e televisiva, che ha già dato la parola d’ordine, sminuire, svalutare, isolare e poi accusare di estremismo e di disfattismo.
E invece quegli scioperanti, eredi di chi ha trasformato e fatto crescere l’Italia, testimoniano che si può resistere e si può ancora avere la speranza di cambiare.
Forse è vero, manifestare è la risposta più giusta: solidali non si nasce, ma ci si diventa con l’impegno e l’esempio, con le manifestazioni e gli scioperi, con la partecipazione attiva ai casi sociali più acuti, offrendo ai disoccupati e ai licenziati un aiuto concreto, politico e sociale.
E poi c’è lo spettacolo e la legge dei sondaggi e del consenso.
Nel caso della scuola, le proteste ed i cortei degli studenti dell’Onda hanno costretto il governo ad una veloce marcia indietro, sembra a causa di cinque punti di perdita nella misura del consenso.
Penso proprio che questa sia la strada da percorrere, la protesta serve.
Severo Bruno
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